ENGIM è coinvolto in numerose iniziati ve che hanno alla base della formazione l’apprendimento in contesto lavorativo, o Work Based Learning come viene definito in Europa. E’ proprio questa tipologia di approccio che caratterizzerà in futuro i nostri centri di formazione come definiti anche all’interno del manifesto per la formazione professionale proposto da ENGIM a luglio dello scorso anno. Ma cosa è il “Work Based Learning” e quali sono le esperienze di riferimento presenti nel territorio nazionale e a livello Europeo? Proviamo a delinearne un quadro con le implicazioni anche nel nostro sistema duale avviato negli scorsi anni.

In più occasioni negli ultimi anni le istituzioni europee hanno esortato i paesi dell’Unione Europea a rafforzare, sia in termini quantitativi che in termini qualitativi, le attività di Work-based learning (WBL) all’interno dei propri sistemi di Istruzione e formazione professionale. Nella visione europea, infatti, la diffusione di percorsi formativi che sappiano coniugare teoria e pratica nel contesto lavorativo è ritenuta un elemento imprescindibile per arginare la piaga della disoccupazione giovanile e favorire, secondo la strategia “Europa 2020”, una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.

In particolare, il vademecum predisposto dalla Commissione europea nel 2013 a seguito della dichiarazione congiunta fatta a Bruges dal Consiglio dei ministri europei per l’Istruzione e formazione professionale, dalle Parti Sociali e dalla Commissione europea ha distinto tre modalità di Work-based learning. La prima è l’apprendistato, inteso come percorso di formazione regolato da un contratto di lavoro tra un’apprendista e un’impresa, che prevede l’alternanza di momenti di apprendimento in un contesto lavorativo e momenti di apprendimento nel contesto scolastico. La seconda sono i tirocini, ossia periodi di formazione on the job ospitati da un’impresa, ma inseriti all’interno dei percorsi scolastici e comunque di durata normalmente non superiore al 50% del monte ore previsto dall’ordinamento scolastico.

La terza corrisponde a tutte le attività didattiche che prevedono l’esecuzione di compiti lavorativi, reali o simulati, all’interno dell’ambiente scolastico.

Sebbene nel contesto europeo l’attributo “duale” venga utilizzato preferibilmente per indicare i percorsi formativi in apprendistato, la sperimentazione che ha inaugurato il sistema duale italiano ha voluto abbracciare tutte e tre le forme di Work based learning: l’apprendistato, i tirocini inseriti nei piani di alternanza rafforzata e l’impresa formativa simulata, ascrivibile alla terza modalità di WBL.

Questa scelta risponde indubbiamente a ragioni di opportunità: non sarebbe stato prudente in un sistema tradizionalmente poco incline ad impiegare le metodologie work based introdurre il duale proponendo soltanto l’apprendistato, che è la forma più “radicale” di alternanza scuola lavoro. D’altra parte, essa riflette anche un certo modo di inquadrare dal punto di vista normativo l’apprendistato nel suo rapporto con il sistema di Istruzione e formazione professionale.

Secondo una recente indagine del Cedefop2 sono sostanzialmente tre le modalità con cui i diversi stati europei intendono questo rapporto. La prima – tipica della Germania e dei Paesi che si ispirano al sistema duale tedesco (Austria e Danimarca), oltre a Croazia, Polonia, Norvegia, Islanda e Irlanda – considera l’apprendistato come un sistema formativo autonomo, distinto cioè dalla formazione professionale scolastica.

La seconda, condivisa sostanzialmente dall’Italia e da numerosi altri paesi, lo inserisce all’interno del sistema nazionale di istruzione e formazione professionale come alternativa ai percorsi scolastici a tempo pieno. Qui l’apprendistato permette di conseguire una qualifica equivalente a quella ottenute tramite i corrispondenti percorsi scolastici, perché il valore della qualifica professionale dipende dai contenuti formativi acquisiti, non dalle modalità con cui essi sono stati forniti.

In questo nutrito gruppo di paesi le differenze emergono nel grado di personalizzazione che l’apprendistato consente rispetto ai percorsi scolastici: solo parziale (Italia, Spagna, Finlandia, Ungheria e Belgio francofono) oppure totale (Inghilterra, Francia, Belgio fiammingo, Lussemburgo, Estonia e Romania). In Olanda e Portogallo gli apprendistati formativi, pur inseriti nel sistema nazionale di VET, sono addirittura attivati tramite programmi specifici.

La terza modalità, residuale rispetto alle altre due, unisce caratteristiche della prima e della seconda. Vi rientrano il modello di apprendistato greco, quello cipriota e una particolare modalità dell’apprendistato belga in uso presso la comunità francofona.

Se si allarga la prospettiva dal quadro normativo al modello complessivo di governance, è possibile precisare ancora meglio la posizione del sistema duale italiano nel contesto europeo. Esso è assimilabile al sistema francese, dove lo Stato pianifica, controlla e organizza attraverso le sue scuole la formazione professionale dei giovani, compreso l’apprendistato. È pur vero che in Italia la competenza legislativa in materia di Istruzione e formazione professionale spetta alle Regioni e non allo Stato centrale e che i corsi formativi dovrebbero essere erogati da privati accreditati. Il modello di governance italiano rimane cionondimeno essenzialmente centralista. Opposto a tale modello è quello cosiddetto mercantilista, adottato dal sistema inglese, dove la formazione professionale è affidata alle imprese che organizzano per gli apprendisti programmi di training on the job tarati sulle proprie esigenze tecnico-produttive.

Infine, a metà strada fra i primi due, c’è il modello corporativista, tipico del sistema duale tedesco e basato sulla cooperazione fra lo Stato e le imprese private. Queste ultime, se vogliono formare i propri apprendisti, devono rispettare gli ordinamenti formativi concertati tra le parti sociali sotto il coordinamento del governo federale.

Da ultimo, è bene ricordare una peculiarità non trascurabile del sistema duale italiano. Nel nostro Paese le istituzioni formative e le aziende hanno la possibilità di personalizzare, attraverso una progettazione congiunta, i piani formativi degli apprendisti e dei tirocinanti. L’idea pedagogica di fondo è che qualsiasi esperienza lavorativa possa offrire spunti sufficienti per raggiungere, attraverso un’opportuna riflessione critica, gli obiettivi formativi fissati dagli ordinamenti scolastici. Questo vale non solo per l’IeFP, ma anche per i percorsi d’Istruzione.

Marco Muzzarelli