A gennaio 2019 il tasso di occupazione per i giovani tra i 15 e i 24 anni cala dello 0,3%. A dicembre 2018 era stata la volta di quelli tra i 25 e i 34 anni, con un calo dello 0,4%. Sono i dati Istat e non c’è mese senza cattive notizie sul fronte del lavoro giovanile. Un mese tocca ai giovanissimi, che poi si riprendono lievemente quello successivo a discapito della fascia anagrafica appena più anziana, e viceversa. Una altalena a somma zero, o più frequentemente negativa, alla quale sembriamo ormai tristemente abituati.
I dati che emergono dall’Istat sono accompagnati da una crescita dello 0,3% del tasso di disoccupazione e dal tasso di inattività. Meno giovani che lavorano quindi, più giovani che cercano lavoro e più giovani che hanno smesso di cercarlo.
In dieci anni siamo passati da 23 under 25 su 100 che lavoravano a soli 17, senza che ci sia stato parallelamente un corrispettivo aumento di persone iscritte a percorsi scolastici.
Ancora più drammatica la situazione dei giovani tra i 25 e i 34 anni, passati da un tasso di occupazione del 70% nel 2008 all’attuale di 61,7%. Nel mese di gennaio si assiste ad una lieve ripresa di questa fascia ma soltanto il mese scorso avevamo avuto un brusco calo. Insomma, un continuo sali e scendi che fa sì che l’unica certezza sia l’incertezza e la fragilità di questa fetta del mercato del lavoro. E conta poco il cambiamento demografico, infatti l’Istat certifica che anche depurando i dati da questi elementi l’unica fascia d’età nella quale l’occupazione cala (-0,1%) è proprio quella delle persone tra i 15 e i 34 anni.
Di fronte a questi dati non può esserci un’unica ricetta, ma credo sia necessario per i soggetti che come noi si occupano di formazione professionale, intravvedere almeno strade da percorrere, che a vario livello devono essere intraprese anche in contemporanea. Credo che le soluzioni stiano in un processo continuo senza separazioni che parta dalla formazione, passa dalle imprese e ritorna alla formazione attraverso le imprese stesse. Saremo parte di un unico sistema nel quale si troveranno pressoché sovrapposti i luoghi dove si svolge la formazione ed i luoghi dove si svolge la produzione (le imprese) ed il filo conduttore sarà il processo di apprendimento continuo.
Provo a riportare di seguito tre aree di “esplorazione” da iniziare a percorrere:
Rafforzare il Work Based Learning. In prospettiva di lungo termine i percorsi di istruzione e formazione saranno sempre più flessibili e ritagliati sulle esigenze delle persone, saranno sempre più ridotti gli ostacoli alle transizioni da contesti lavorativi differenti in una continua alternanza tra l’apprendimento e il lavoro. Questa prospettiva ci richiama ad un sempre maggiore spostamento dei risultati dell’apprendimento da un punto di vista tecnico professionale, verso una maggiore enfasi sulle competenze trasversali.
L’apprendimento in contesto lavorativo, tipico della formazione professionale, non ha solo obiettivi di formazione tecnica, ma potrà avere sempre di più il ruolo di abilitare i propri utenti a partecipare pienamente alla società e diventarne cittadini attivi. Forse questo ruolo, da un punto di vista sociale, supera anche quello di preparare ad un’occupazione specifica. Lo sviluppo e la crescita della persona e la cittadinanza attiva sono una caratteristica indispensabile di ogni tipo di apprendimento futuro, anche per le opportunità che questi valori possono portare alle stesse imprese.
Il lavoro come sfida educativa. Significa pensare che il lavoro possa sempre di più assumere una valenza educativa. Siamo stati abituati a pensare che i tempi della formazione e i tempi del lavoro fossero due eventi separati, il cartello “sono uno studente non sono un lavoratore” (portato in una delle manifestazioni studentesche contro l’alternanza scuola lavoro), richiama proprio a questo atteggiamento di separazione. La tendenza a ridurre il gap tra formazione e lavoro ci ha portati a pensare che il problema fosse l’avvicinamento di due mondi distanti tra i quali era comunque necessario mantenere un confine ben evidenziato. Oggi non si tratta più di avvicinare due mondi (formazione/professione) tra loro, ma è necessario renderli sovrapponibili e farli intersecare affinché nella formazione sia possibile ritrovare elementi di impresa reali e nell’impresa sia possibile ritrovare elementi di formazione. Il mondo del lavoro può assolvere in questi termini, anche al compito di azione educativa se opportunamente accompagnato e supportato da tutti quei soggetti che storicamente si sono occupati dell’educazione, in particolare dei nostri giovani. Occorre far evolvere il pensiero formativo dal luogo fisico specifico dove viene formata la persona una volta per tutte, ad eco-sistemi educativi dove gli attori educativi e formativi (famiglie, scuole, centri di formazione, parrocchie, associazioni) e le imprese, costruiscono insieme quell’ecosistema in grado di supportare costantemente le persone verso un apprendimento continuo e lungo tutto l’arco della vita.
L’impresa come comunità educante. Le evoluzioni del lavoro evidenziano una sempre più elevata soggettività della professione, si è contemporaneamente piccoli imprenditori e dipendenti, è in questo contesto che però emerge l’esigenza della persona di vivere il luogo di lavoro come la propria comunità di appartenenza, si è ‘soggetti’ ma in modo solidale agli altri. L’impresa può trasformarsi in comunità educante se riuscirà ad interpretarsi come elemento fondativo della società. Proprio in quest’ ottica ed in un contesto di continui cambiamenti, la formazione e la crescita delle competenze (professionali, trasversali e personali) possono costituire la spina dorsale, il filo di conduttore, di un lavoro che avrà sempre meno punti di riferimento e sempre maggiori frammenti discontinui. La formazione assume quindi una dimensione etica, diventa apprendimento continuo che si affianca al valore stesso del lavoro al punto da assumerne pari dignità. “Apprendere lavorando” e “lavorare apprendendo” saranno gli approcci che dovranno caratterizzare il lavoro nelle imprese, senza discontinuità tra i momenti di ‘formazione’ e i momenti di ‘lavoro’.
Saremo in grado di realizzare comunità educanti solo se riusciremo ad attuare i due primi passaggi: rafforzare l’apprendimento in contesto lavorativo ed il lavoro come sfida educativa. Le strade da esplorare richiederanno attenzione, passione e capacità di “costruire ponti” tra mondi che la nostra cultura considera distanti da troppo tempo.
Marco Muzzarelli
Direzione Operativa Nazionale
Direzione Artigianelli Torino